di Leonardo Arrighi
Tra le lapidi presenti sotto il Voltone del Palazzo Comunale di Budrio, una ricorda Giuseppe Reggiani, alfiere dell’antifascismo e indomito difensore della libertà di pensiero. Il giovane muratore, a cui è stata intitolata anche una via, ha dato corpo ad un’esistenza coraggiosa, vissuta seguendo autentici ideali e mettendo costantemente da parte il timore di seguirli fino alle estreme conseguenze, che per Reggiani coincideranno con la morte.
La fine tragica giungerà in Spagna nel 1939, in seguito all’impegno del budriese nell’ambito delle Brigate Internazionali, formate da antifascisti accorsi nella penisola iberica per aiutare il Fronte Popolare, composto dai partiti di sinistra e osteggiato da forze fasciste interne ed esterne, nella difesa dei capisaldi della vita democratica e repubblicana. Giuseppe è l’esempio della richiesta di libertà proveniente dai rappresentanti delle classi sociali più umili, in grado di diventare autentici protagonisti dell’azione antifascista, maturando e consolidando una coscienza nazionale, che si rivelerà decisiva nel sovvertire le gerarchie rafforzatesi nel corso del ventennio fascista.
DIFENDERE LE PROPRIE CONVINZIONI
Giuseppe nasce a Budrio il 4 luglio 1905. I genitori Antonio e Teresa Broccoli non appartengono certo alla borghesia budriese: ben presto, lo stesso Giuseppe dovrà impegnarsi in prima persona per contribuire al sostentamento della famiglia. Conclusi gli studi elementari, il giovane Reggiani – seguendo le orme paterne – inizia il mestiere di muratore. Al termine delle estenuanti giornate lavorative, il budriese riesce a trovare il tempo per la lettura.
La Iª Guerra Mondiale colpisce profondamente Giuseppe, che dedica particolare attenzione allo studio della storia. La necessità di dare corpo ad un pensiero forte ed autonomo, porta Reggiani a trovare nella vicenda di Francisco Ferrer una fonte d’ispirazione. L’eroe spagnolo, fucilato a Barcellona il 13 ottobre 1909, è l’emblema dell’uomo capace di dedicare la propria esistenza alla lotta contro ogni forma di oppressione, trovando nell’istruzione e nell’educazione gli strumenti fondamentali per corroborare lo spirito degli individui, resi così autonomi nella ricerca della libertà.
Quando Ferrer viene giustiziato, Budrio è guidata dalla giunta socialista, che vede come sindaco Ugo Lenzi. La notizia della morte dello spagnolo suscita notevole commozione anche tra i rappresentanti delle Istituzioni budriesi, che decidono rapidamente di intitolargli una via (l’attuale via 3 Novembre). La centralità della vicenda di Ferrer, nel territorio comunale di Budrio, è testimoniata anche dalla lapide – voluta dai lavoratori locali – posta nel 1911 sulla facciata della sede della Cooperativa di Consumo di Mezzolara.
Il 10 aprile 1922 Giuseppe si trasferisce a Bologna, dove comincia a fraternizzare con altri giovani, che condividono le stesse idee segnate dalla ricerca della libertà e dal desiderio di offrire ad ogni persona – in particolare a coloro che appartengono alle classi sociali più disagiate – la possibilità di emanciparsi culturalmente, forgiando un proprio pensiero e riuscendo così a destreggiarsi nelle dinamiche dell’esistenza quotidiana. Nel corso del 1922 Reggiani si iscrive alla FGC (Federazione Giovanile Comunista) e, in breve tempo, ne diventa un propagandista ed un dirigente, mostrando notevoli capacità dialettiche. Le forze di polizia, ormai guidate dal neonato governo fascista, lo pongono tra gli «oggetti di speciale sorveglianza». Dal 1923 comincia l’attività di dirigente del Sindacato Edili della provincia di Bologna. La tenacia di Giuseppe infastidisce i vari centri di potere dello Stato fascista. Il 2 novembre 1924 gli viene teso un primo “agguato”: all’interno degli uffici della CCdL (Camera Confederale del Lavoro) viene fermato, mentre sta prendendo parte ad un convegno sindacale comunista, e accusato di fare illecita propaganda «all’adesione ai Sindacati Rossi di Mosca».
Reggiani non si lascia intimorire e, instancabile, continua la propria missione: il 23 marzo 1925 lo ritroviamo a Milano al Convegno della gioventù operaia comunista, a cui partecipa con l’incarico della FGCI (Federazione Giovanile Comunista Italiana) della provincia bolognese.
LA SFIDA PER LA LIBERTÀ
La pressione della polizia è sempre più asfissiante e il giovane budriese decide di defilarsi per qualche tempo, scegliendo di trasferirsi a Milano. Dal mese di luglio 1925 Giuseppe si destreggia tra diversi lavori: muratore, meccanico in diverse officine e manovale. Nel giugno 1926 si assiste al prelevamento (a Lambrate, vicino a Milano) da parte di alcuni fascisti, che conducono Reggiani al Commissariato di Polizia, dove viene trattenuto – in cella – per dieci giorni perché trovato in possesso de L’Unità e de L’Avanguardia. Al termine dell’ingiustificata detenzione, il budriese è rimandato a Bologna con il foglio di via obbligatorio. La libertà in Italia è ormai una chimera, ma Giuseppe non demorde e – dopo pochi giorni dal ritorno nel capoluogo emiliano – torna a Milano dove, riuscendo a sfuggire all’ondata di arresti del 1927, si trasferisce stabilmente a partire dal 10 giugno dello stesso anno.
Dopo meno di tre mesi giunge la nomina come funzionario del PCI (Partito Comunista Italiano): l’impegno politico, vissuto in sostanziale clandestinità, diventa sempre più assiduo e lo porta a compiere vari viaggi in Italia e all’estero. La polizia nazionale non smette di rimanere sulle sue tracce, segnalandolo come «sovversivo». Il 4 marzo 1928 Giuseppe viene fermato a Bellinzona (Svizzera) perché in possesso di un passaporto falso: il rientro forzato in Italia porterà all’arresto del 25 maggio, motivato dai seguenti capi d’accusa: «delitti contro i poteri dello Stato e complotto; appartenenza al partito comunista, dopo lo scioglimento ordinato dall’Autorità; propaganda comunista; uso di falsa tessera di identità». Il 10 novembre giunge la condanna «a 8 anni e 3 mesi di reclusione, all’interdizione perpetua dai pubblici uffici, a 3 anni di vigilanza speciale, al pagamento in solido delle spese processuali e alla confisca degli oggetti sequestratigli». Reggiani viene rinchiuso nel carcere di Perugia, dove si verificheranno numerosi tentativi di estorcergli testimonianze riguardanti la sua militanza antifascista. Il budriese sarà monolitico, rispondendo: «Non ricordo i cantieri e le officine di Milano presso le quali fui occupato e quindi non posso indicarle. Soggiungo però, che quand’anche ne ricordassi i nomi e le località non le citerei avendo ragione di nutrire le mie prevenzioni circa le domande che V. S. mi rivolge».
Giuseppe trascorre quattro anni e mezzo in carcere, riuscendo ad uscirne soltanto il 14 novembre 1932 a causa dell’amnistia per il decennale fascista. Il rilascio non prevede alcuna misura di vigilanza, ma in realtà il funzionario comunista è sottoposto ad una sorveglianza asfissiante. Il budriese, perseguitato quotidianamente, non riesce a trovare un lavoro e, nel marzo 1933, raggiunge Trieste, da cui riesce ad espatriare, arrivando in Jugoslavia, dove verrà nuovamente arrestato. Le peripezie non termineranno, così come gli arresti, avvenuti in Svizzera e in Francia, che lo vedranno prima condannato e poi assolto. Dopo aver raggiunto l’URSS, dove resterà per circa un anno e mezzo, nel maggio 1938 Reggiani sceglie di prendere parte alla Guerra Civile Spagnola (che imperversa da ormai due anni), «ingaggiato» dall’Agenzia giornalistica Trance Monde, che gli assegna l’incarico di giornalista nell’ambito delle emittenti radio antifasciste di Barcellona. Per il budriese non è certo una novità: è importante ricordare l’impegno nell’ambito di Radio Milano (come ricorda la lapide sotto al Voltone di Budrio), emittente che ha difeso le convinzioni comuniste, alimentando una fiera battaglia contro la dittatura fascista.
LA GUERRA CIVILE SPAGNOLA E LA VICENDA DI REGGIANI
Il 16 febbraio 1936 il Frente Popular, composto dalle compagini politiche di sinistra, riconquista – attraverso elezioni democratiche – il controllo della Repubblica spagnola, costituitasi nel 1931 e dal 1934 governata da forze politiche di destra. Il 17 luglio 1936 il generale Francisco Franco avvia la rivolta contro la Repubblica: comincia la Guerra Civile. Franco è sostenuto dalle fazioni fasciste interne, a cui si aggiungono – in particolare dal punto di vista militare – i sostegni giunti dal fascismo italiano e dal nazismo tedesco. In soccorso della Repubblica giungono numerosi volontari antifascisti da molte Nazioni, tra cui 4000 dall’Italia. Giuseppe Reggiani fa parte di questo gruppo, che contribuirà a formare le Brigate Internazionali. Come anticipato, il budriese continua la propria opera alle emittenti di Barcellona, cercando in ogni modo di veicolare il maggior numero di informazioni, attraendo l’attenzione del mondo intero. Nel gennaio 1939 la Catalogna cede alle truppe franchiste: Giuseppe riesce ad abbandonare Barcellona e a spostarsi a Madrid, dove diventerà un importante membro della Radio della capitale. Sono momenti convulsi e drammatici: il generale Casado, comandante di Madrid, tradisce l’esercito repubblicano e il fronte antifascista, decidendo di avviare trattative di pace con Franco.
Reggiani prende parte agli scontri, battendosi per la difesa della sede del comitato del partito comunista spagnolo. L’11 marzo 1939, pochi giorni prima della caduta definitiva di Madrid (Franco e le sue truppe entreranno in città il 28 marzo), il budriese viene catturato insieme ad altri quattro giornalisti. La promessa iniziale coincide con l’espulsione dalla Spagna ma, tre giorni dopo, Giuseppe viene portato nel carcere di Valencia e poi consegnato alla polizia militare fascista italiana. A questo punto se ne perdono le tracce, ma è praticamente certo che sia stato fucilato dalle camicie nere. Sui documenti ufficiali, redatti dalla polizia, la morte di Reggiani è datata 20 aprile.
Ad 80 anni di distanza dalla morte permane l’esemplarità di questa vicenda umana, troppo spesso dimenticata. Attraverso Giuseppe Reggiani è possibile soffermarsi sull’autenticità della causa antifascista, alla perenne ricerca della libertà sottratta. La via e la lapide a lui intitolate restano dei presidi della memoria, a cui fare riferimento partendo proprio dalle parole che si possono leggere – come testimoniato anche da una delle fotografie presenti in questo articolo – sotto il Voltone del Palazzo Comunale di Budrio.